L’autenticità, chiave di accesso per uno sviluppo sostenibile

GERENZA (informazioni generali e link)
23 Ottobre 2018
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L’autenticità, chiave di accesso per uno sviluppo sostenibile

«Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita», diceva Federico Fellini. Bene. Proviamo allora a cambiare la parola «turista» con «viaggiatore», «tour» con «passeggiata», «pacchetto» con «esperienze autentiche». Incominciamo, cioè, a vedere il turista per quello che è, in molti casi: ovvero, colui che va a vedere un luogo solo per avere la conferma di ciò che ha visto nel depliant, per farsi un selfie e tornarsene subito a casa. In contrapposizione c’è il vero viaggiatore: chi parte per conoscere e mettersi in discussione. Allo stesso modo, pensiamo alla distanza che può esserci tra un tour rapidissimo in località famose di turisti ridotti a numeri, rispetto all’opportunità di vivere un territorio, incontrando gli abitanti, i produttori agricoli, gli artigiani, assaporando lentamente un paesaggio incontaminato.

Cambiando linguaggio si cambia paradigma e, improvvisamente, ogni certezza cade. Per questo la località sperduta, con un paesaggio rurale storico di grande pregio, ma dimenticata dal turismo di massa, non deve sentirsi figlia di un Dio minore. Al contrario, può diventare la scoperta di un numero sicuramente ristretto di viaggiatori, ma adeguato alle necessità di sviluppo sostenibile di un territorio. Occorre, dunque, iniziare a comunicare con questi ultimi, ma come? La condizione è assumere una diversa consapevolezza delle peculiarità culturali e sociali che si sono stratificate, e mantenute. La conservazione virtuosa di uno stile di vita è merce rara, se paragonata a luoghi turistici che sembrano, sempre più, delle San Marino senza anima o una vita sociale, con i residenti espulsi dal centro storico.
Tuttavia, questa consapevolezza non sempre si raggiunge, o si traduce in fatti concreti. E così, sia pure con buone intenzioni, alla fine si inseguono modelli consolidati: si tenta in molti casi di “richiamare gente” con iniziative più o meno originali o coerenti. Ad esempio, diventare “medievali” per un giorno può avere una meritevole funzione di socializzazione, di divertimento. Una rievocazione, o una sagra, possono diventare un elemento artificiale che rende una realtà simile a mille altre, annullando la percezione della sua essenza. Il rischio, è di snaturare vocazioni e stile di vita. L’evento dovrebbe essere amplificare una identità, ma in una logica di confronto e dentro una strategia più più ampia. Più che puntare a una folla per pochi giorni, o ad azioni promozionali consuete, può convenire valorizzare con iniziative mirate ciò che si è tutto l’anno, aprendo le porte dei frantoi, degli uliveti, dei musei, coinvolgendo contadini e artigiani, facendo conoscere i talenti e le abilità, le lavorazioni che si tramandano da secoli. Chi non ha un prodotto, un piatto, un olio straordinario o qualcosa di particolare di cui va fiero? Ecco, questo patrimonio non va svenduto, tramutandolo in folklore.

La vita quotidiana di un piccolo paese può diventare un’offerta straordinaria, a costo zero, presente tutto l’anno. Basta agire con il giusto criterio, pensando che piccoli numeri presenti costantemente non alterano gli equilibri sociali e possono garantire un livello di ricchezza adeguato, magari, anche a trattenere le giovani coppie. Dunque, la percezione di essere un Comune “non turistico”, vista con altri occhi (e quindi con altre parole) diventa da apparente handicap a vantaggio straordinario. Autenticità è la vera parola chiave, da assumere come un dogma. Autenticità da salvaguardare e comunicare, senza inseguire la chimera di un improvviso boom di visitatori.
L’Associazione delle Città dell’Olio ha, in questo contesto, una grande occasione: può funzionare da “player” per tante piccole realtà, fragili e autentiche, che da sole fanno fatica ad essere visibili. Può accompagnarle in un percorso, aiutandole a sviluppare esperienze vere e originali, inserendole in un circuito ampio, trovando attraverso nuove tecnologie e canali adeguati (senza escludere i tour-operator più sensibili ed evoluti) insperate possibilità di comunicazione e commercializzazione.

C’è un grande mercato da sviluppare, considerando che la capacità di attrazione – per i viaggiatori – non sta nell’albergo di un lusso standardizzato, o nei “non luoghi” alla Disneyland, ma nel giovane, o nella famiglia che continuano una tradizione olivicola secolare, la cui azione si lega al territorio e contribuisce a generare prodotti, paesaggi, feste legate alle stagioni e ad antichi riti, che rendono ogni luogo speciale: proprio perché autentico. Si può, e si deve, far condividere le passioni e lo stile di vita locale con ospiti rispettosi e curiosi. Occorre, certo, evitare un “turismo dell’olio” concepito come una somma di pacchetti. Non servono le proposte ripetitive (la visita, la degustazione, il corso) destinate a un pubblico indifferenziato. Si richiede, invece, un salto di qualità, con un metodo capace di esaltare le singole, infinite peculiarità locali, di personalizzare l’offerta sulle esigenze di ogni viaggiatore, come le attuali tecnologie consentono. Un appassionato olivicoltore, un museo, una pianta secolare, una particolare cultivar, certi riti sono unici in ogni località: servono storie per esaltarli, non vanno trasformati in “merce” da consumare superficialmente. Dobbiamo abbandonare il concetto di turismo, e iniziare a dedicarci ai viaggiatori.

Editoriale di Simone Marrucci per il magazine dell’Associazione delle Città dell’Olio.

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